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Tre libri

Tre libri su cui non sono neutro, sia detto subito: amici stretti o meramente conoscenti virtuali, ma persone che apprezzavo da prima. Se niente è senza bias , non resta che mettere le mani avanti. Ciò detto, credo di essere onesto se dico che questi tre libri li avrei letti comunque con gioia.

Susanna Raule, L’Architettura Segreta del Mondo, Salani 2015

cover

Susanna è mia sorella (non di sangue, ma ci sono legami più sinceri del sangue). Mia sorella scrive anche dannatamente bene: così bene che riesce a farmi leggere generi che non leggerei mai. Come i gialli/noir, che di norma mi lasciano estremamente tiepido. E invece con Susanna, è inutile: qualsiasi cosa scriva, anche la lista della spesa dal Bricocenter, ti resta incollata sotto gli occhi finchè non la finisci. Così è per l’Architettura Segreta del Mondo, che è il suo lavoro direi migliore e più maturo, almeno tra quelli della serie del commissario Sensi. Una storia che tiene incollati, con un mestiere lucidissimo: una scrittura forse un pelo meno sarcastica e un pelo più raffinata del solito: mi vien da dire che il modulo del romanzo di genere inizi a stare stretto a Susanna (e scommetto che lei lo sa benissimo – io starei in campana).  C’è da dire che è una storia che sento mia perchè è piena di luoghi miei: La Spezia, Cambridge, la Sicilia, posti in cui ho vissuto o ho lasciato l’anima (In particolare rileggere scene ambientate chiaramente nei pub King Street Run o Fort St.George a Cambridge, anche se mai nominati esplicitamente, mi ha stretto un po’ il cuore). E una storia dove finalmente la parte magica del Commissario Sensi acquisisce un senso profondo e centrale. Dovendo trovare il pelo nell’uovo, diciamo senza spoilerare che c’è una love story che mi lascia perplesso, ma poco importa. Prendetelo, che vi passate dei viaggi in treno più velocemente che se foste sul TARDIS. Assieme possibilmente a Anatomia di uno statista, che forse è la sua cosa che ho amato di più e che è disgraziatamente la meno letta e conosciuta di Susanna Raule.

 

Federico Maria Sardelli, L’affare Vivaldi, Sellerio 2015

Bisogna inchinarsi e sussurrare quando si parla di Federico Maria Sardelli, poichè egli, in questa epoca di specializzazione fordista anche in ambito intellettuale, è l’ultimo dei grandi polymath, non a caso toscano. Con una facilità sovrumana è semplicemente superiore in ogni campo in cui si cimenti. Sciagurato collaboratore del Vernacoliere (dall’età di 12 anni!) sulle cui pagine è diventato uno dei più esilaranti e peculiari autori satirici d’Italia degli ultimi 30 anni; pittore eccellente; soprattutto direttore di uno dei massimi ensemble di musica barocca, Modo Antiquo, e massimo esperto mondiale di Antonio Vivaldi. E ora anche scrittore. In tutto questo riesce perfino a essere una persona squisita. Lo so che sembra un panegirico di strisciante e comica adorazione, ma è la mera verità, chiedete a chiunque ci abbia avuto a che fare. L’unica chiosa è “io boh”:  non resta che osservarlo basiti come una rivelazione extraterrestre, sperare di carpigli il genoma e clonarne una dozzina a ogni generazione.

Il libro, dicevamo. L’affare Vivaldi è la ricostruzione della scomparsa e riscoperta dei manoscritti di Antonio Vivaldi. Ricostruzione tanto romanzata quanto  totalmente aderente alla realtà, (anche e soprattutto negli aspetti più grotteschi – stranger than fiction etc.etc. – eccezionale la storia del fratello di Antonio Vivaldi, Francesco, che verrà cacciato da Venezia per aver mostrato goliardicamente il membro al nobile Antonio Soranzo. Tutto vero, tutto documentato.) L’affare Vivaldi è una lezione non tanto di filologia  quanto una parabola sulla fragilità che sottende il patrimonio culturale dell’uomo. Ogni opera è mortale, e l’incuria e l’amnesia possono più dei martelli dell’ISIS.  In una serie di quadri teatrali scopriamo che i manoscritti originali e unici di Vivaldi sono stati letteralmente gettati nel fango, portati in giro con carretti del letame, stralciati e svenduti, smembrati e disprezzati, ma soprattutto ignorati per secoli, finchè solo l’amore e la cultura di due intellettuali finora sconosciuti, Luigi Torri e Alberto Gentili, li ha riportati alla luce. Protagonisti a loro volta ingoiati dall’oblìo imposto dalle leggi razziali fasciste e dalla pochezza di altri malgrado loro protagonisti (vedasi la tragicomica arroganza di Ezra Pound nel trascrivere le partiture, interpretando a casaccione quello che non conosceva).

Se c’è una cosa che mi ha lasciato appena perplesso è che L’affare Vivaldi è stranamente normale nello stile: la prosa di Sardelli è ricca, divertente e colta ma assolutamente chiara e limpida, al punto che ho avuto una certa nostalgia dei funambolismi verbali  di cui è notoriamente capace come autore satirico. Interpretate questo come un di più, però, non un di meno. È un bene in generale e in particolare in questo caso, dove il turbinio di personaggi e la discontinuità cronologica tra i vari capitoli può far girare il capo.

 

Beatrice Mautino e Dario Bressanini, Contro Natura, Rizzoli 2015


Di libri divulgativi c’è sempre bisogno, e di questo c’era davvero bisogno. In un’epoca impregnata del misticismo del naturale, Mautino e Bressanini prendono l’esempio delle piante coltivate – cereali in primis, come riso e grano – e ribadiscono come nella alimentazione umana, da secoli, non esiste niente di “naturale”. Esiste un continuum tra le coltivazioni del Neolitico e l’ingegneria genetica, ogni confine concettuale tra queste tecniche è arbitrario e fasullo, in ogni momento l’intervento umano ha alterato massicciamente i genomi delle piante che utilizzava: se vogliamo, gli organismi geneticamente modificati sono quelli geneticamente meno modificati. Dall’origine (innaturale?) dei grani nel Neolitico agli incroci degli agronomi del primo Novecento, allo sviluppo di varietà nuove tra raggi gamma e tecnologie quasi-OGM: i laboratori di biologia molecolare sono solo l’ultimo -e probabilmente meno invasivo- passo in una scala di tecniche per il più pragmatico ed essenziale degli obiettivi: nutrirci. Letteralmente, tenerci vivi.

Ma più interessante del discorso specifico sulle coltivazioni sono le due domande che restano all’orizzonte. La prima è filosofica: che cosa significa natura, cosa significa naturale? Ha senso –in tutti i campi- una divisione tra naturale e artificiale? La seconda è scientifica: qual è l’impatto dell’uomo sul pool genetico della biodiversità attuale? Come è cambiata l’evoluzione dei genomi da quando selezioniamo, coltiviamo, incrociamo, e che impatto potrà avere evolutivamente? Cosa accadrà dopo di noi? A Mautino e Bressanini non importa approfondire in generale queste domande, e giustamente: queste sono tema per altri, diversi libri. Quello che fanno i due autori è presentare, con vivace chiarezza, i casi concreti (talmente concreti da averli nel piatto) in cui tali questioni si presentano. E lo fanno bene, scendendo nei dettagli senza mai far perdere il filo  – è un libro in cui, semplicemente, si imparano molte cose sorprendenti su cose che sorprendenti spesso non riteniamo. Dopo averlo letto avrete più rispetto e ammirazione per il pane e il riso sul vostro tavolo: miracoli tecnologici, generati silenziosamente dall’amore e l’intelligenza di secoli.

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