In un recente post, la mia amica Susanna Raule pone un problema che mi appassiona da tempo: di chi sono gli universi che costruisce un autore?
La questione sorge da una discussione pratica. Un autore, Alan Moore, costruì un’opera, Watchmen. Tale opera delinea un universo parallelo, un mondo possibile, dei personaggi, una sequenza di storie e di psicologie. A quanto pare il contratto che ha firmato Alan Moore cede a un ente terzo (la DC Comics) i diritti non solo sull’opera-Watchmen, nel senso di sequenza stricto sensu di testo e immagini che la costituisce, ma anche sull’universo-Watchmen. Pertanto la DC ora ne sta curando un prequel, ovvero un’opera che non è Watchmen ma ne contiene i personaggi, si ricollega alla storia, e la amplia in qualche misura.
È una cosa giusta o sbagliata? L’opinione corrente, con varie sfumature, tra chi fa fumetti (opinione che credo rifletta anche quella di chi scrive libri, sceneggia film e in generale crea delle storie di un qualche genere) è che sia diciamo così legale ma sbagliata: la DC può farlo ma non dovrebbe, perchè il suo autore non vuole, e questo è in un qualche modo immorale.
Susanna riassume in un commento, più che nel post, il nodo della sua posizione:
Credo che nella cessione dei diritti intellettuali sia necessario comportarsi come nel sesso estremo: puoi fare tutto, finché tutti sono d’accordo.
Ora, nel discorso specifico di Alan Moore, Watchmen e Susanna Raule si innesta anche la tecnicità dei diritti e delle righe piccole dei contratti. Dimentichiamo un attimo le formalità e concentriamoci sulla sostanza. Se io invento un universo, e qualcuno vuole usarlo, devo essere d’accordo?
Io sono stato avvelenato, non ancora adolescente, da La biblioteca di Babele di Borges e dal teorema delle scimmie infinite, e quindi so che gli autori non sono altro, alla fine, che meccanismi che producono opere. Gli autori spiccano per essere il meccanismo di gran lunga più efficiente per ottenere opere; questa proposizione, oggi vera, domani potrebbe non esserlo. Altri sistemi sono concepibili: ogni giovane programmatore che si rispetti (incluso me) ha scritto almeno un generatore automatico di poesie, non necessariamente pessime.
Questa verità può sembrare paradossalmente degradante per l’autore, ma non lo è: essere capaci di qualcosa di così sottile e altissimamente complesso come creare un’opera artistica, e farlo meglio di qualsiasi altra cosa è un giusto merito per il cervello umano (abilità che deriva anche dal fatto che i fruitori dell’opera sono, spesso, altri cervelli umani). Ma avere presente questo ci permette di guardare con altri occhi l’intero concetto di paternità.
Si dà infatti per scontato o quasi (e in particolare lo dà per scontato l’autore) che un’opera, una volta generata, rimanga in qualche modo proprietà dell’autore. Questo può poi concretizzarsi in sistemi di proprietà intellettuale, ma anche qualora ciò non accadesse, sentiamo quasi istintivamente che se Susanna Raule scrive dello specialista in suicidi Ford Ravenstock o del commissario dark Sensi, Ford e Sensi sono in qualche modo suoi, che sia lei l’unica ad avere il vero diritto di tirare i fili ai suoi burattini.
Ma in realtà Susanna Raule, benchè abbia generato quell’opera, non è quell’opera. Qualcun altro poteva scrivere o pensare Ford Ravenstock (dato un tempo infinito, diceva Borges, è inevitabile scrivere l’Odissea) -fatto vuole che l’abbia scritto lei, ma non era necessario, nè questo significa necessariamente che solo Susanna Raule debba decidere di Ford Ravenstock.
In realtà viene ammesso (sia da molte leggi sulla proprietà intellettuale, sia in generale dall’etica degli autori) il diritto alla satira o all’omaggio consapevole, come possono essere le opere di cosiddetta fan fiction. Il che però non modifica concettualmente il discorso di cui sopra: è il burattinaio che presta i suoi burattini, ma tutti sanno che i burattini sono suoi, e ti ci fa giocare se e solo se vuole farti giocare.
Il problema è che i burattini sono “suoi” solo in quanto lei ha partorito questi burattini. Ma cosa vuol dire “suoi”? Vuol dire che li ha generati. Ma questo ci dà altri diritti? Del resto i nostri figli portano il nostro cognome, magari il nostro colore degli occhi o i nostri capelli, ma non sono veramente nostri : sono creature indipendenti che possono fare -e fanno- infine quello che vogliono. A differenza dei figli, inoltre, le opere dell’ingegno sono quasi sempre immediatamente maggiorenni -una volta pubblicate, esse sono per il mondo, indipendentemente dal loro autore. Parlano a persone a cui magari gli autori non avrebbero mai voluto parlare, dicono cose che gli autori non pensavano di aver voluto dire, suscitano reazioni del tutto incontrollabili dall’autore. Sono altro: sono state originate da un autore, ma non hanno cordoni ombelicali.
E questo vale, molto più che per l’opera singola, per i concetti di fondo dell’opera -le idee, i personaggi, il cosmo che genera l’opera.
Questo può sembrare una mia bizzarria, ma in realtà non ho descritto nient’altro che la più antica delle attività creative umane, il mito. Ben prima che si inventassero i concetti di proprietà intellettuale e di copyright, ben prima che esistessero Alan Moore e Susanna Raule e me, l’umanità si raccontava tramite personaggi, storie, scenari e universi che erano condivisi da interi popoli lungo generazioni. Omero non aveva bisogno di chiedere alcunchè per cantare l’ira di Achille, e Virgilio non dovette chiedere nulla a sua volta a Omero per scrivere una sorta sequel , l’Eneide. Marlowe, Goethe e Mann non hanno chiesto cosa pensasse delle loro opere l’ignoto inventore del dottor Faust.
Una mitologia non è che un universo immaginario condiviso da molti -tra questi molti stanno quelle meravigliose macchine per opere (e quindi, per mitologie) che sono gli autori. Ogni condivisione del mito altera il mito: il mio Faust non è il tuo Faust. Un mito è quindi, per l’autore, un’argilla, una struttura familiare ad autore e a fruitore dell’opera, sulle quali possono costruire una comunicazione. Comunicazione che può essere (e spesso lo è, in epoca postmoderna) anche a proposito del mito stesso, e che genera opere il cui interesse e la cui bellezza sarebbero inconcepibili (a meno di biblioteche di Babele) senza poter usare il mito condiviso come codice di comunicazione. Faust è Faust solo perchè è stato reinventato molteplici volte.
Per questo motivo, io sono contrario a qualsiasi restrizione o diritto dell’autore che impedisca ai mondi immaginari di diventare compiutamente mito: perchè limita in modo non necessario il numero e il tipo delle opere di cui potremo fruire, perchè ci impedisce di vedere come altri vedono i mondi immaginari che noi conosciamo. Parliamo dei miti semplici della nostra era. Immaginate un mondo in cui ci sia un Dylan Dog di Frank Miller, in cui ci siano cineasti indipendenti che rileggono ed espandono Star Wars, in cui venga riscritta l’epopea del Signore degli anelli dalla parte di Mordor (è già successo : purtroppo, proprio per questioni di difesa della paternità -in questo caso quella di Tolkien- è di difficile reperimento).
O un mondo in cui autori rivisitano e rinnovano eccezionalmente Superman, The Swamp Thing, Batman o addirittura mescolano insieme interi miti delle letterature dell’Ottocento. Già, perchè amara ironia vuole che proprio Alan Moore, che adamantinamente si indigna nel vedere i propri miti sganciarsi da sè, abbia costruito la sua carriera come forse nessun altro tramite il riutilizzo geniale di mondi immaginari altrui. The League of Extraordinary Gentlemen di Moore è essenzialmente un esercizio nella riappropriazione e rielaborazione del mito, una rappresentazione onirica della mitologia collettiva dove finalmente davvero convivono il capitano Nemo e il dottor Moreau, Mr.Hyde e i tripodi marziani di Wells. Non sarebbe stato possibile scrivere The League senza usare quegli immaginari: The League altro non è che il parossismo delle mitologie. Vorremmo noi un mondo dove questo gli fosse stato impedito da Wells e Verne in nome di un monopolio su questo immaginario?
Qualcuno sicuramente obietterà che queste sono belle parole, ma che alla fine l’autore deve mangiare e deve vedersi riconosciuta l’opera. Ma questo non cambierebbe di una virgola con la liberazione delle mitologie, piccole o grandi, dalle pastoie della paternità. Solo che per esempio la casa editrice Bonelli, per stare a galla, non potrebbe semplicemente rilassare sugli allori di poter pubblicare Dylan Dog, ma dovrebbe dimostrare di saper fare il miglior Dylan Dog, di saper usare questo mito nel modo migliore possibile. Si potrebbe competere su chi è in grado di raccontare meglio Guerre Stellari, o Tetsuo, o Neon Genesis Evangelion, o il commissario Montalbano (Del resto, il mondo è pieno di ottime idee che poi sono state messe in pratica mediocremente, e l’impossibilità di poterle riutilizzare a proprio piacere in questo caso sfocia nel delitto). Nulla di questo negherebbe il diritto all’unicità di quelle opere: semplicemente permettiamo a chiunque di attingere a quello che è, in fatto o in potenza, già patrimonio di ognuno nella propria immaginazione, e di avere ciascuno il materiale di tutti gli altri da utilizzare per ricostruirne, se desidera, l’immaginario. Lasciamo che i miti creino liberamente il loro destino, e lasciamo che i padri non abbiano paura di cosa potrebbero essere capaci di fare, altri, ai loro figli. Se voi inventori di un universo siete, per coincidenza, anche i migliori a saperlo raccontare, allora non abbiate timore di dimostrarlo.
Commwnto qua prima di leggere i commenti su FB, quindi mi scuso in anticipo se dirò cose già dette da altri.
Credo che ci sia un misunderstanding di base. Io sono largamente d’accordo con quanto scrivi, ma il tuo bel discorso non centra il punto fondamentale.
Se io domani creassi un blog dal titolo devicerandom, con una grafica uguale a quella di questo blog e iniziassi a scriverci sopra cose analoghe a quelle che scrivi tu, ma dal senso lievemente diverso, in cui, magari, si lascia intendere che Devicerandom approva l’omeopatia… che cosa ne penseresti?
Se domani un editore affidasse a uno scrittore anche più bravo di me il compito di scrivere un libro della serie di Sensi dal quale si desume che il protagonista approva la Chiesa Cattolica, che cosa ne penserei IO?
La risposta, almeno nel mio caso è: sarei incazzata nera.
Perché, dato che Sensi, fino a prova contraria, sono io, sarebbe come se prendessero una mia dichiarazione e la rivoltassero, rendendola falsa. Un’operazione alla Ghedini, per intenderci, che non mi piacerebbe affatto.
Nel momento in cui scrivo, io condivido una parte di me stessa. Sono io, lì sulla carta, e se qualcosa di ciò che scrivo deve trasformarsi in mitologia, sarà bene che avvenga per mitopoiesi, ovverosia attraverso un processo comunitario di rielaborazione. Da questo punto di vista approvo le fanfiction: quello è il metodo proprio, mediato dai tempi.
Gli apocrifi sherlockiani, sono il metodo proprio.
The league, è il metodo proprio.
Faust lo è, Gaiman lo è, Madadh lo è.
La DC ha PORTATO VIA a Moore il diritto di scrivere un altro sequel, se mai gliene venisse voglia, per consegnare questa opportunità ad altri.
Moore non potrà mai scrivere un episodio di Watchmen che non venga APPROVATO dalla DC. Questa ti sembra un’operazione di liberazione della storia?
A me sembra solo molto simile a un furto, anche se sul piano legale, oh, sì, hanno ragione loro.
Il punto NON E’ che solo Moore può scrivere Watchmen, ma che solo DC può. E, no, non mi sembra giusto.
Non è affatto mitopoietico.
La puntata dei Simpson in merito lo è, questo decisamente no.
Se un domani mi togliessero un mio personaggio per farlo scrivere a qualcun altro, non mi sembrerebbe mitopoiesi.
Se un domani qualcun altro scrivesse del mio stesso personaggio contemporaneamente a me, non avrei alcun problema. Se domani qualcun altro scrivesse di un mio personaggio che io non ho interesse a usare, non sarebbe un problema.
Ma se IO non potessi più scriverne? Cazzo, sì.
Dato che quel personaggio sono io, la faccenda non sarebbe meramente accademica. Mi coinvolgerebbe personalmente.
Le storie di un autore non sono i suoi figli maggiorenni, Massimo: sono loro stessi.
E ho una cattiva abitudine riguardo a me stessa: se qualcuno vuole scoparmi, deve chiedermi prima il permesso.
Ah ok, non sapevo assolutamente che Moore non potesse scrivere un altro Watchmen, anche se contrattualmente ha senso.
Beh, lì si tratta di contratto capestro, e purtroppo c’è poco da fare. Ma il problema non è che altri scrivano Watchmen, il problema allora è che non può scriverlo lui.
Ma per tornare a quello che dici sopra: Devicerandom è il nickname di Massimo Sandal, e quindi è una cosa. Ma se qualcuno domani facesse un Sensi cattolico, beh, lo troverei un detournement bizzarro e inquietante, magari metterebbe il nervoso, ma non vorrei tu avessi il diritto (che invece suppongo legalmente hai) di bloccarlo.
Di nuovo, Sensi, checchè tu ne dica, non sei tu: ci hai messo del tuo, lo senti tuo, ma non sei tu, fattene una ragione: è un insieme di parole e concetti su carta, che è ormai altro da te, e che ognuno legge e interpreta come vuole. Tu non sei tutte le interpretazioni possibili di Sensi. Sensi è già mitologia in potenza, nel momento in cui si diffonde. Quello di vedere il proprio universo travisato e trasformato in altro secondo me è un rischio che va accettato e anzi abbracciato.
Devicerandom è il nickname di Massimo Sandal, e quindi è una cosa.
Elaboro questo: Quello che dici tu sarebbe una appropriazione di personalità reale, e quindi sarebbe ingannevole in modo diverso. Diciamo che se uno scrivesse “Sensi l’amico del Papa” e si firmasse Sussana Ralle allora ci sarebbe un problema. Ma se uno scrivesse “Sensi l’amico del papa”, di Giampinotto Mastrofufezio, scrivendo magari chiaro e tondo in un sottotitolo “ispirato al noto personaggio di Susanna Raule che però non ci ha messo niente di suo e anzi disprezza quest’opera”, beh, io non sentirei di dirgli nulla.
In quel caso, neanch’io (tranne, forse: hai bevuto?).
Ma vedi, Before Watchemen uscirà con un colophon più o meno così:
“Watchemen, creato da Alan Moore e David Gibbons, sceneggiatura: Brian Azzarello. disegni: Lee Bermejo, editor: Tal dei Tali, ass. editor: Tal’Altro”. Segue: una roba che mai Moore avrebbe scritto, che non condivide e che non voleva.
Se, invece, lui volesse scrivere un fumetto con protagonista un Dr. Manhattan che diventa testimone di Geova, non potrebbe farlo, a meno di non farlo con Dc, sempre che DC approvi gli sfottò sui testimoni di Geova (e non li approva).
In quanto all’essere/non essere ciò che si scrive, immagino che si tratti di punti di vista. Per quanto mi riguarda, Flaubert non era per niente lontano da quello che sento io in merito. Ovviamente Sensi è il MIO transfert, questo non implica che non possa esserlo anche per qualcun altro, che però passerà sopra al mio transfert per esprimere il suo transfert.
Come a dire: io vedo mio padre nel mio terapeuta, ma se non avessi avuto un padre ci vedrei qualcos’altro. Forse bisognerebbe pagare le royalties ai genitori a ogni seduta.
Tra l’altro, c’è un sottile errore logico in coloro che rispondono a Moore che lui ha scritto The league.
Lo stesso sottile errore logico che fa Moore nel citare Moby Dick.
Spero che questo sia evidente almeno a te.
Oddio, no, non mi è evidente.
Ma poi sì, Madame Bovary c’est moi et cetera, ma sta di fatto che sei tu nel senso che ci hai messo del tuo e che lo senti tuo, ma ciò non toglie che nei fatti questa è un’illusione ottica. La realtà è che Sensi è quello che i lettori di Sensi vogliono che sia.
Ma vedi, Before Watchemen uscirà con un colophon più o meno così:
“Watchemen, creato da Alan Moore e David Gibbons, sceneggiatura: Brian Azzarello. disegni: Lee Bermejo, editor: Tal dei Tali, ass. editor: Tal’Altro”. Segue: una roba che mai Moore avrebbe scritto, che non condivide e che non voleva.
Tale colophon mi pare onestissimo. È stato creato (come universo) da X e Y, ma sceneggiatura etc. è di W,V,Z.
Stiamo mescolando due cose correlate ma diverse, una che a Moore da noia che facciano il prequel di Watchmen, l’altra che Moore se volesse non potrebbe scriverne uno suo. Ora io non so se Moore muoia dalla voglia di scrivere prequel e sequel di Watchmen (non credo da quel poco che ho capito), ma in questo caso sarei assolutamente dalla sua parte, e per gli esatti motivi che ho elencato nel post.
Ma Moore non può lagnarsi che scrivano “creato da Moore e Gibbons”. Alla fine gli autori sono loro, cosa ci dovrebbero scrivere, creato dalla Madonna? O dalle infinite scimmie con le macchine da scrivere?
Probabilmente Moore lo preferirebbe. Mai visti i titoli di testa di Watchmen il film? Mai notato che Moore non compare?
C’è scritto: tratto dal libro di Dave Gibbons.
E, in realtà, è probabile che ci sarà scritto “creato da Gibbons” anche sul colophon di Before Watchmen.
In ogni caso, Moore in The legue ha lavorato su personaggi free copyright, trasportandoli in un altro universo narrativo. Anche Moby Dick è free copyright.
Questo vuol dire che CHIUNQUE può scrivere storie su quei personaggi.
Invece i personaggi di Watchmen non sono free copyright, tutto il contrario in effetti, e NESSUNO può scrivere di loro senza il permesso della DC, nemmeno Moore.
Il quale NON VUOLE farlo, ma capisci anche tu che non è questo il punto. Anche se volesse, non potrebbe. E questo è un sopruso, secondo me.
O decidiamo che Watchmen è free-copyright – e allora sotto a chi tocca – oppure decidiamo che non lo è. Se non lo è dovrebbe essere di Moore per diritto naturale (e lo sarebbe senza la gabola del contratto), non della DC.
Ma poi sì, Madame Bovary c’est moi et cetera, ma sta di fatto che sei tu nel senso che ci hai messo del tuo e che lo senti tuo, ma ciò non toglie che nei fatti questa è un’illusione ottica. La realtà è che Sensi è quello che i lettori di Sensi vogliono che sia.
Be’, sì. Dal loro punto di vista.
Dal mio punto di vista, no. E, per fortuna, è il mio punto di vista che conta, giuridicamente.
E, per inciso, puoi star certo che questo punto di vista resterà IL punto di vista, fintanto che sono in grado di leggere e capire un contratto.
E, per fortuna, è il mio punto di vista che conta, giuridicamente.
Eh ma è questo il nodo. Per fortuna tua, ma per sfortuna di tutti gli altri. Tenendo il controllo sul personaggio-Sensi, impedisci che possano nascere opere diverse dalle tue appartenenti a quel cosmo.
Per quello non ho neanche toccato il discorso del copyright parlando di The League, poichè esso discende da questo, ovvero: le mie opinioni sul copyright e sul fatto che preferirei funzionasse in modo molto,molto diverso derivano in gran parte proprio dal discorso filosofico che ci sta sopra.
Quello che voglio è un mondo dove ci sia la libertà di rielaborare idee e immaginari senza blocchi di sorta, nè della DC, nè di Moore. Un mondo in cui gli autori realizzino che le opere non sono soltanto loro, e che alla fine ci guadagnamo tutti: più materiale su cui lavorare per gli autori, più opere possibili per i lettori.
Probabilmente Moore lo preferirebbe. Mai visti i titoli di testa di Watchmen il film? Mai notato che Moore non compare?
Lo so e l’ho sempre trovato un po’ patetico da parte sua. Il film può fargli schifo finchè vuole, ma è assurdo fare i bambini e dire “no no io non voglio nemmeno il mio nome su questa roba” quando tanto lo sanno anche i sassi chi ha scritto Watchmen. Piuttosto, chiedi che sia reso esplicito nei titoli che non hai avuto nessun altro ruolo nel film se non quello di aver creato i personaggi del fumetto da cui è tratto. Sembra la stessa cosa? Si e no, c’è una differenza di stile.
A me piace tanto questo punto di vista. Lo estenderei anche alle mie bollette della luce, se possibile.
Ah, questo è quello che Moore AVREBBE VOLUTO fare. Ma non gliel’hanno consentito, dicendo che stava male.
la domanda è: perché Moore ha firmato quel contratto?
Ok, quelli della DC SONO STRONZI, su questo siamo d’accordone.
la domanda è: perché Moore ha firmato quel contratto?
c’è scritto sul post di Susanna (il primo link in cima questo post)
c’è scritto sul post di Susanna (il primo link in cima questo post)
okay (sì, sono pigra)
tornando al nodo della questione: fa bene Susanna a parlare di mitopoiesi. è la giusta distinzione tra il contributo all’immaginario collettivo e il plagio. inoltre, sebbene anche io sia precipitata da piccina nel calderone borgesiano, ti dico che invece i personaggi sono l’autore molto più di quanto i figli siano il genitore, a prescindere dalle strade autonome che percorreranno. d’altronde, sempre tornando alla mitopoiesi, una cosa è il mito collettivo e una cosa è il commissario Montalbano: del primo spesso è difficile individuare l’origine.
è la giusta distinzione tra il contributo all’immaginario collettivo e il plagio.
è che io non credo in tale distinzione. posso capire che io non possa scrivere una storia di dylan dog identica a un’altra, ma troverei giusto poter scrivere storie originali di dylan dog e rivenderle anche se non sono approvate dalla casa editrice originaria.
ti dico che invece i personaggi sono l’autore molto più di quanto i figli siano il genitore,
ma in che senso?
nel senso che c’è molto dell’autore in un personaggio? certo.
ma di nuovo, questo non implica il controllo.
il mio concetto è: non vedo i vantaggi di tale controllo al di là del capriccio dell’autore.
una cosa è il mito collettivo e una cosa è il commissario Montalbano: del primo spesso è difficile individuare l’origine.
mi pare un distinguo irrilevante. tutti sappiamo chi ha scritto Moby Dick o Guerre Stellari, pure fanno parte del mito collettivo.
Io sono d’accordo in teoria con Massimo, ma in pratica ci sono questioni che Susanna ha detto bene. In generale il discorso di Massimo é troppo astratto. Le leggi, positive e morali, esistono per bilanciare i poteri, e in questo caso servono a bilanciare il potere enorme dei conglomerati mediatici come la DC, che possono imporre “con la forza” il *loro* immaginario, scoraggiando di fatto ogni mitopoiesi. Non rovesciamo la questione dunque: é la DC a bloccare la circolazione del mito, mica Moore. Sono d’accordo con Massimo quando dice che Moore é lontano, non conta più nulla, non ha nessun sacro legame con l’opera. Il problema é che c’è un macchina ideologica che a furia d’investimenti miliardari impone una mitologia banalizzata e finisce, lei, per sterilizzare l’immaginario.
“…in cui venga riscritta l’epopea del Signore degli anelli dalla parte di Mordor (è già successo : purtroppo, proprio per questioni di difesa della paternità -in questo caso quella di Tolkien- è di difficile reperimento).”
Grazie di avermi fatto scoprire questa gemma. Di solito quando sento nominare fan fiction metto mano alla pistola, ma credo che The last ring bearer sia una luminosa eccezione, una versione autosufficiente e speculare rispetto a quella tolkeniana.
Unica puntualizzazione: il veto di pubblicazione in inglese ha reso il reperimento del relativo e-book immediato e gratuito, anche dalla stessa voce di wikipedia che hai linkato.