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Storie naturali

Qualche tempo fa, a poche lire in una libreria di provincia, ho trovato il lieve Zanzare di Alessandra Lavagnino (Sellerio, 1994). Sull’autrice non ho trovato molto di più di quanto reciti il risvolto di copertina: “docente di parassitologia nell’Università di Palermo e scrittrice di opere di narrativa” (i cui titoli, doverosamente elencati, mi sono ignoti). Zanzare è un libro che parla, appunto, di zanzare, nè più ne meno: ma non è saggio e non è romanzo, non è collezione di aneddoti o divulgazione. È, almeno negli intenti, l’enciclopedismo lirico che Herman Melville sprigiona quando parla della balena.

La Lavagnino naviga l’equilibrio tra tassonomia e sogno: inserisce all’origine una leggenda vietnamita sulla nascita delle zanzare, quasi ad accreditarne la mitologia, e poche pagine dopo dettaglia le diverse forme delle uova che ricapitolano la filogenesi. Ci fa commuovere con paragrafi leggerissimi (magari leziosi) sulla madre zanzara che depone i suoi figli in uova merlettate, e poco dopo descrive la meccanica e le rotazioni dei bilancieri, organi che consentono il volo. Ogni descrizione non è banalmente divulgativa, non è una spiegazione piana: è la prosa chiara ma allo stesso tempo colloquiale e inebriata di chi racconta un amore. Alessandra Lavagnino ama, oh se li ama i suoi insetti – e si sente che le piange il cuore quando giocoforza deve narrare che le sue creature diafane “dagli occhi bellissimi”, come sottolinea rapita, trasmettono la malaria e altre malattie letali. Zanzare è un libro simile alle creature che descrive: volatile, breve, imperfetto, con grazia.

C’è qualcosa che Zanzare mi ha ridato, e che mi mancava, senza che riuscissi finora a darle compiutamente un nome. Zanzare è storia naturale. E oggi manca, nella scrittura scientifica, la storia naturale. Manca il senso della natura come storia nel senso letterario del termine, come intreccio in cui siamo immersi, come reticolo in cui avvengono cose (“Il mondo è tutto ciò che accade”, per Wittgenstein). Manca, ad accompagnarlo, il senso estetico e culturale di tutto ciò. In ossequio alla scissione delle due culture, per dirla con C.P.Snow, umanistica e scientifica, la cultura umanistica ha perso il contatto col reale; ma viceversa la scienza ha smesso di comunicare all’uomo.

Prendiamo la scrittura scientifica odierna. Al livello di comunicazione interna alla comunità scientifica, abbiamo i papers, le pubblicazioni scientifiche dei gruppi di ricerca. Papiri impenetrabili a volte anche per gli specialisti del settore, e non necessariamente per troppa densità concettuale. La voga attuale impone che l’articolo scientifico non sia un articolo, nel senso di esposizione leggibile in cui lo intende un profano, bensì sia una metallica concatenazione di frasi che segue un canovaccio preordinato. Si avrà una introduzione in cui di malavoglia si riassume lo stato precedente dell’arte, avendo cura di usare una serie di locuzioni anodine e standardizzate: per dire “non abbiamo la minima idea di come X funzioni” scriveremo “A functional understanding of X is currently lacking” ; per dire “ci sono convegni dove si prendono a schiaffi su Y” scriveremo “The interpretation of Y is controversial.” A questa segue una descrizione (giustamente) minuziosa quanto (meno giustamente) asettica dei metodi e materiali usati negli esperimenti o studi teorici, dopo di che si parla dei risultati. Generalmente questi sono fuoriusciti dal nulla: di come, cronologicamente e concettualmente, quei metodi abbiano prodotto quei risultati, non è quasi mai dato sapere. Tutta la lotta intellettuale, i guizzi creativi e il sudore della fronte, tutti i passi falsi e i colpi di genio, tutte le discussioni e i dubbi interni vengono annientati, affidati se va bene ai quaderni di laboratorio o alle caselle email: l’articolo distilla una irreale e asettica progressione di grafici e dati inevitabili, fuori dal tempo. Alla fine vi saranno delle conclusioni, e qui forse gli autori potranno far uscire la testa e mostrare che sanno pensare, ma stando sempre attentissimi a sterilizzare ogni parola nell’autoclave del frasario standard. “Chiunque non sia cieco capirebbe che questo significa X” diventa “X is a possible consequence of these results” ; “Beh, abbiamo in mano un ottimo nuovo bersaglio contro il cancro” sarà “Our results have remarkable therapeutical implications”; “Ora il quadro è più confuso di prima ma questo è il bello, no?” sarà “Further investigation will be needed to elucidate the matter”.

In uno zerovirgola di casi tale ricerca sarà comunicata al pubblico – che si tratti del singolo studio o della somma di una intera disciplina. Qui si aprono due modalità comunicative (in realtà è un continuum, ma dividiamo per semplicità). La prima è la divulgazione classica, che sia giornalismo scientifico o saggio in libreria. Poco da dire qui. Il lavoro scientifico verrà spiegato con un linguaggio piano e semplice, cordiale, più o meno giornalistico e più o meno engaging, ma quasi sempre ben attento a non uscire dal quotidiano. A volte l’autore potrà metterci del suo personale, raccontare di quei pomeriggi passati a cercare fossili in Arizona sudando e ascoltando Jimi Hendrix, ma tant’è.[1]

La seconda è invece la “divulgazione 2.0”, qualcosa che possiamo riassumere, per usare il nome di un iconico sito, “I Fucking Love Science!” o IFLS. È quanto si diffonde oggi attraverso blog (anche di scienziati), pagine Facebook, video YouTube. Un calderone in cui rientrano i tweet in prima persona dei rover marziani e i TED talks, il geniale “what-if” di Randall Munroe/xkcd e le notti dei ricercatori. I titoli dei blog IFLS devono essere autoironici, frizzanti e accattivanti: I Fucking Love Science, Starts With a Bang!, Bad Astronomy, L’orologiaio miope, ChemBark, tanto per citare alcuni che effettivamente seguo. La divulgazione IFLS si fa mondo reale tramite iniziative nei pub -beviamo una birra per parlare di scienza! o tramite reality shows come il FameLab dove i ricercatori devono creare in pochi minuti la presentazione più figa del proprio lavoro. Tutto dev’essere veloce, tutto dev’essere simpatico, tutto deve in qualche modo ispirare “ahahah!” e “wooooah cooool!”, alternati con arte pop. Comunicazione per le masse giovani, connesse, wired.

Sia chiaro: è un lavoro difficilissimo quello del giornalista, divulgatore, comunicatore scientifico -anche quello del vituperato giornalista di Focus, sì: spiegare concetti complessi e controintuitivi al pubblico in modo contemporaneamente chiaro, breve e accattivante è un puzzle che richiede pazienza e abilità, e in cui basta nulla per fallire. In tutto questo però si perde un passaggio, ed è quello che (con termine pessimo nel suo snobismo ma a cui non riesco ora a trovare un sostituto) chiamiamo “cultura alta”. La scienza o viene scambiata tra gli specialisti, o è di-vulgata perchè raggiunga il massimo numero di persone possibili, balzando a piè pari i filosofia, letteratura, arte. In entrambi i tipi di comunicazione si perde – o comunque si diluisce – il lato estetico, umano, lirico: il viscerale sense of wonder e il complesso contesto culturale. In entrambi i tipi di comunicazione la scienza non si confronta. Non viene comunicata come una parte integrante di tutto il resto del mondo del pensiero.

Ne segue un simmetrico impoverimento. Il primo è che la scienza continua a non essere considerata cultura, perchè non è comunicata come tale. Non è inserita nel contesto di una cultura, non se ne parla (o se ne parla di rado) assieme a una review di letteratura o di musica classica. Quando si parla dei lavoratori della cultura si parla sempre di musicisti, registi di teatro, curatori di musei, e non si parla di chi crea cultura scientifica. Non sorprende quindi che ormai parecchi tentativi di fondere arte e scienza risultino goffi, superficiali e forzati: le due discipline rifiutano di parlarsi tra loro. Quando gli artisti tentano di avvicinarsi alla scienza, lo fanno spesso senza capirla e non è solo colpa loro: nessuno l’ha resa interessante nel loro linguaggio. Idem quando molti scienziati tentano di avvicinarsi all’umanesimo: condannati a lavorare con un linguaggio autoreferenziale, balbettano quando devono parlarne un altro.  Quando la divulgazione attuale vuole enfatizzare il lato estetico, ci ritroviamo quasi sempre con qualche astrofotografia di una nebulosa, o con l’ennesima foto al microscopio colorizzata (male) al computer. Cose come il disegno naturalistico -un tempo essenziale, in un’epoca priva di computers e macchine fotografiche- sono quasi dimenticate. Volumi fotografici preziosi come Documenting Science di Berenice Abbott sono ridotti al rango di eccezioni, curiosità per le librerie di remainders. Altre gemme escono nei cataloghi di case editrici d’arte come Taschen, ma sono più eccellenti mirabilia per scaffali-Wunderkammer che protagonisti di un dibattito culturale.

Il secondo impoverimento è la pratica della scienza che si priva del suo aspetto profondo di conoscenza del mondo: cessa di essere sapienza, cessa di essere filosofia naturale o storia naturale -ed è facile preda per essere mangiata, a questo punto, dall’irrazionalismo filosofico, dell’heideggeriano “la scienza non pensa”. Collezione ombelicale di fatti, di articoli fatti per essere citati da altri articoli, di scoperte che sono sbattute sui social in quanto meramente pragmatiche o in quanto risvegliano un qualche immediato immaginario fantascientifico – non più in quanto, semplicemente e profondamente, dicono qualcosa di nuovo sul mondo. Come un romanzo, come una musica, più di entrambe. La ricerca perde quindi fascino, perde valore, diventa lavoro d’ufficio, diventa produttività da valutare con bibliometrie, grants, borse, funding, e non diventa quello che era in origine: generazione di conoscenza, pensiero rigoroso e vertiginoso allo stesso tempo – vertiginoso perchè rigoroso.

Ci sono ancora, a volte, articoli e libri che tuttora pensano la scienza. Da qualche parte resiste la tradizione saggistica anglosassone che ha prodotto Oliver Sacks, Stephen Jay Gould, John Barrow, pure Richard Dawkins: autori che non fanno filosofia della scienza ma che narrano la scienza come filo-sofia, amore di sapienza, declinata con tutta la passione e potenza di fuoco intellettuale che merita. Esistono autori che sanno declinare il senso della ricerca scientifica come continua genesi di un futuro culturale prima che tecnologico: penso ad esempio a Centauri Dreams di Paul Gilster, che tratta un tema fantascientifico (il viaggio interstellare) in modo allo stesso tempo limpido, visionario, elevato e sorprendente. Esistono discipline in cui arte e scienza convivono da sempre come la paleontologia, e in cui esiste un rinnovato fermento che genera piccoli capolavori come All Yesterdays. Esistono sacche di resistenza consapevole: Uno dei più interessanti ponti rimasti tra creatività scientifica e creatività umanistica è la rivista/progetto Occulto di Alice Cannava -una delle cose a cui sono più orgoglioso di collaborare (inutile che ne discuta qui: andate sul suo sito, e vedete cosa succede davvero quando la scienza innerva l’avanguardia e viceversa).[2]

Ma non basta. Serve una nuova (o antica?) consapevolezza a tutti i livelli. Serve che gli scienziati ricomincino a scrivere articoli scientifici in modo sempre rigoroso ma umano, leggibile, fuoco di riflessioni e di piacere mentale – articoli che almeno nelle loro introduzioni e conclusioni possano passare anche al di fuori della singola disciplina. Che siano leggibili. Serve che nelle università si insegni la scienza non (solo) come mera collezione di fatti, tecniche e protocolli ma (anche) come cultura, come la struttura di cui è fatto il mondo che viviamo e mondi che non viviamo. Servono case editrici che vogliano riaprire questi sentieri dimenticati. Serve che la scienza venga narrata nei media, nei social, nelle strade non (solo) come intrattenimento o come disciplina per geek, ma anche come vitale lingua per la nostra esperienza del mondo: lingua che deve ovviamente avere un registro specialistico, che può e deve avere un registro colloquiale: ma che può e deve avere anche un registro intellettuale e soprattutto un registro lirico. Tutto questo richiede uno spostamento colossale degli assi del modo in cui intendiamo la scuola, la divulgazione e la ricerca. Ma è necessario perchè sia di nuovo nel tessuto del pensiero dell’Occidente. O non potremo lamentarci se la cultura scientifica muore, se viene considerata solo oscura tecnica, responsabile solo di vaghe sventure e non di svelare la bellezza del mondo.

———

[1] Esiste poi il pulviscolo di trivia da ombrellone di riviste come Focus o la disgraziata riedizione di Airone, ma questo è un target ancora diverso.

[2] Ci sono invece anche mostruosità come questa, in cui il peggio dei linguaggi dell’accademia filosofica e dell’accademia scientifica si impasta in una chimera pomposa e illeggibile – che genera gemme del tipo “organismi antichissimi ancora viventi come l’equiseto”. Una qualsiasi seppia appartiene a una linea ben più antica degli equiseti, che appaiono nel Devoniano, ma vuoi mettere?

20 Comments

  1. davide davide

    Grazie dell’articolo. Considerazioni sparse:

    – Non mi pare corretto comparare un libro, dove l’autore gode di una certa liberta’ di manovra, con articoli che occupano il limitatissimo e ambitissimo spazio disponibile in una rivista scientifica. O facciamo una selezione crudele subito, diciamo riducendo del 90% i phd candidates, o il sempre maggior numero di ricercatori e conseguenti articoli imporra’ limiti stringenti allo spazio disponibile per comunicare i propri risultati.

    -Trovo che la forma standardizzata degli articoli faciliti enormemente la loro comprensione. Io e i miei colleghi capiamo perfettamente gli articoli del nostro campo, quindi non mi torna la presunta impenetrabilita’ di cui parli. Quello che mi torna e’ che la ricerca scientifica e’ un’attivita’ complessa e comprenderne gli sviluppi richiede anni di lavoro. I grants e la bibliometria non c’entrano nulla, anche gli articoli di cento anni fa erano cosi’.

    – La discussione sulla scienza come cultura, l’interazione con l’arte, ecc mi interessa molto poco. Accolgo con piacere l’invito a proporre un nuovo racconto della scienza. Benissimo, iniziamo a riformare i programmi scolastici, spazziamo via Croce e Gentile, insegniamo la scienza partendo dal laboratorio, e poi ne riparliamo.

  2. davide davide

    Un’altra cosa. La tua recensione di Zanzare mi e’ piaciuta molto, e’ coinvolgente. Mentre la parte in cui dici che i ricercatori mostrano di pensare solo quando scrivono le conclusioni mi sembra solo una provocazione.

    Forse semplicemente preferisci la divulgazione alla ricerca.

  3. Ciao! complimenti per l’articolo. hai centrato il punto, è davvero illuminante!
    Io insieme a due miei ex compagni di master (giornalismo scientifico a Ferrara) abbiamo creato un blog dove cerchiamo di combinare il racconto con la sostanza. Stiamo provando a parlare di scienza e natura in maniera appassionata, senza per forza dover ricorrere al sensazionalismo o all’ironia seriale.
    Siamo partiti da non molto tempo ma ci stiamo organizzando bene!
    Ancora complimenti!

  4. Marco Ferrari Marco Ferrari

    Perché vituperati?
    Perché trivia da ombrellone?
    Ha mai letto veramente Focus? Ovunque?

    P.S. Pro domo sua

  5. Marco Ferrari Marco Ferrari

    Non volevo essere aggressivo, ma anzi farti i complimenti per il post eccellente e cercare di capire se ci si può mettere in contatto. Anche per spiegarti come funziona Focus…

    😎

  6. Salve, grazie del feedback! Tento di rispondere ai vari commenti in ordine, citando e rispondendo ai punti:

    Davide:
    Non mi pare corretto comparare un libro, dove l’autore gode di una certa liberta’ di manovra, con articoli che occupano il limitatissimo e ambitissimo spazio disponibile in una rivista scientifica.

    Non lo è, ma non è mia intenzione una comparazione diretta. Era mia intenzione descrivere le pratiche di scrittura della ricerca, e come si sia cristallizzata e sterilizzata quella della scrittura di articoli. Ovvio che un libro di letteratura-divulgazione e un paper sono cose diverse; chiedo solo di aprire un po’ le prospettive.
    (C’è anche da dire che oggi, con Internet, lo spazio limitatissimo è un falso problema, tecnicamente, e le riviste dovrebbero svegliarsi in tal senso)

    >>>Io e i miei colleghi capiamo perfettamente gli articoli del nostro campo, quindi non mi torna la presunta impenetrabilita’ di cui parli.< <<

    Del nostro campo, appunto. C’è da parlare anche ad altri, e questo è un grave problema. Un testo come l’Origine Delle Specie per dire parlava anche a persone che non erano biologi o naturalisti – e non era un testo di divulgazione. Se non tutto l’articolo può cambiare, almeno accompagnarvi sempre una esposizione più limpida e informale (o diversamente formale).

    >>>I grants e la bibliometria non c’entrano nulla, anche gli articoli di cento anni fa erano cosi’.< <<

    Mah, a me paiono diversi, leggo con molto più piacere gli articoli tecnici di una copia di Nature di 100 anni fa di una attuale.

    >>>La discussione sulla scienza come cultura, l’interazione con l’arte, ecc mi interessa molto poco. < <<

    In tal caso questo post e le idee in esso contenute non fanno per te. Ti dico solo che vuoi spazzare via Croce e Gentile devi riuscire a parlare al resto della cultura, non contrapporviti.

  7. Davide:
    la parte in cui dici che i ricercatori mostrano di pensare solo quando scrivono le conclusioni mi sembra solo una provocazione.

    Non dico che non pensino se non nelle conclusioni: dico al contrario che il pensiero e il lavoro intellettuale esiste in ogni spazio, ma oggi nella scrittura dei papers emerge (forse) quasi solo in quello spazio. Già solo essere forzati a separare, spesso, “Results” da “Conclusions”, come se non fossero alla fine indissolubili (è ingenuo pensare che si possano presentare i dati in modo assolutamente neutro dalla loro interpretazione, appena si esce dal mero numero o grafico), è problematico.

  8. Marco Ferrari: Perché vituperati?
    Perché trivia da ombrellone?
    Ha mai letto veramente Focus? Ovunque?

    Vituperati, ahinoi, sono vituperati.

    Sui trivia da ombrellone, beh, Focus se non erro faceva quelle ponderose edizioni estive “100 domande e risposte sul sesso” o consimili (cfr. http://www.focus.it/mondo-focus/focus-e-speciali/focus-dr/20 ) – niente di male eh!

    Quanto al leggere Focus, onestamente non lo faccio da qualche tempo, ma a questo punto lo riprenderò in mano. Ho voluto precisare nel post, se ci fa caso, che non è un lavoro da disprezzare ma anzi encomiabile: fa parte di una serie di approcci che sono tutti indispensabili per comunicare la scienza, io ho voluto individuarne uno senza assolutamente voler sputare sugli altri.

  9. Francesco: Grazie e complimenti per l’iniziativa. Fatemi sapere di più se volete! 🙂

  10. Pezzo eccellente.
    Sono d’accordo su quasi tutto (*) e ti ringrazio per avermi ricordato l’esistenza di una terza via che non e’ allineata all’IFLS.
    Mi trovo al CERN nel momento della ripartenza di LHC, e l’IFLS e’ di gran lunga predominante nella grancassa mediatica che si scatena regolarmente attorno all’esperimento che costituisce il mio mondo per la quasi totalita’ delle mie ore di veglia, causandomi un lieve senso di nausea.
    Se scriverai una versione in inglese di questo post, ti pregherei di farmi sapere, cosi’ che possa condividerlo con i nostri esperti di comunicazione.

    (*) quasi, perche’ concordo con Davide che lo scrivere dei paper secondo dei template uniformi rende la lettura piu’ veloce e meno ambigua per gli esperti, e non sono scandalizzato all’idea di un mezzo di comunicazione ottimizzato per gli esperti.

  11. davide davide

    Grazie delle risposte! Mi permetto un’ultima replica.

    – Cristallizzazione degli articoli: capisco cio’ che dici, in parte il problema si e’ risolto con i Supplementaries, sai bene che limitare il numero di articoli e’ anche questione di prestigio per la rivista, ma questo e’ un altro discorso. Rimane il fatto, secondo me poco discutibile, che avere tutti gli articoli scritti con un solo template ne facilita la fruizione. Questo si collega ancora alla complessita’ della ricerca: e’ utile evitare ulteriori complicazioni dovute a stili narrativi diversi. Tu pensi che invece cio’ possa essere una ricchezza, opinione legittima. Ci sono sicuramente distorsioni (adattare la ricerca al format!), argomento troppo lungo.

    – Certo che capisco solo gli articoli del mio campo. Sarei enormemente arrogante a pretendere di capire un articolo di un settore di ricerca diverso dal mio (varie sfumature di comprensione a seconda della vicinanza di metodologie e contenuti, ovviamente). C’e’ da parlare ad altri, ma chi sono questi “altri”? In un articolo scientifico si parla ad esperti del settore, che sono interessati a metodi e risultati. Nessuno e’ interessato ad avere una prosa piu’ accessibile per il grande pubblico, ma solo a presentare ed ottenere le informazioni rilevanti nel minor tempo possibile. Tu vuoi cambiare questo, again aspirazione legittima.

    – Chi l’ha deciso che le idee di questo post non fanno per me? Il mio mancato interesse e’ un giudizio di merito. Non hai il dubbio che le tue idee siano deboli, poco convincenti per chi capisca qualcosa di ricerca scientifica? Scusa il tono, non voglio essere offensivo, non sono domande retoriche. Se vuoi cambiare le cose devi convincere proprio me, mica chi ti da’ il cinque alto. Forse sono prevenuto perche’ vedo spesso colleghi che utilizzano l’outreach e la divulgazione per pubblicizzarsi, piu’ che per reale voglia di raccontare. Altro argomento troppo lungo per un post.

  12. Davide:

    “Rimane il fatto, secondo me poco discutibile, che avere tutti gli articoli scritti con un solo template ne facilita la fruizione.”

    Non sto dicendo di metterci a scrivere sonetti invece dei papers (anche se a volte includere sonetti nei papers sarebbe bello). A me il template può pure andar bene, ma non mi va bene lo stile antinarrativo, il quale a mio parere confonde le idee invece di chiarirle. Per esempio, uno dei miei papers più citati, quello principale del mio lavoro di dottorato, è nato da una situazione di pura serendipity: ho sbagliato a diluire un buffer, ho visto dei dati strani, ho correlato le due cose e ho iniziato a indagare.

    Ora, di questo nel paper si è persa del tutto traccia, e quando lo leggi resta il mistero del perchè di tutte le condizioni che posso usare per indurre l’aggregazione di alfa-sinucleina, ho incluso anche una delle meno comuni e meno fisiologiche (l’alta forza ionica). Resta un dato appeso lì, in cui ho scelto delle condizioni sperimentali in modo apparentemente enigmatico. Se invece avessi potuto scrivere “One morning, one of us (M.S.) noticed that he didn’t dilute the PBS stock 10x solution (pH 7.4) for the last week experiments. Looking back at the force spectroscopy curves, we found an intriguing increase in force curves showing seven unfolding peaks, which could be now understood as an effect of the buffer ionic strength. We know that an increase in ionic strength can induce alpha-synuclein aggregation; therefore we decided to test also other conditions to see if it was an artefact or an aggregation signal…” sarebbe chiaro, e uno avrebbe una vivida impressione di come si è sviluppato il lavoro. Per me è un vantaggio e una ulterore trasparenza. YMMV.

    Certo che capisco solo gli articoli del mio campo. Sarei enormemente arrogante a pretendere di capire un articolo di un settore di ricerca diverso dal mio

    Certo, perchè non fanno molto per rendertelo accessibile. Devo dire però che io leggo spesso articoli fuori dal mio campo: non ci capisco tutto, ma ci provo. Se la ricerca fosse cultura, e non mera tecnica e produttività, sarebbe *normale* che noi scienziati volessimo leggere di ricerche distanti dal nostro campo. E magari tecniche e idee di altri campi potrebbero darci suggerimenti a cui non pensiamo nella nostra minuscola nicchia.

    In un articolo scientifico si parla ad esperti del settore, che sono interessati a metodi e risultati.

    Di nuovo, perchè la visione delle cose è sempre più a tunnel.

    Il mio mancato interesse e’ un giudizio di merito.

    Ah, okay, non mi era chiaro. Mi sembrava che ne facessi una questione a priori: “questo argomento non mi interessa in ogni caso”.

    Non hai il dubbio che le tue idee siano deboli, poco convincenti per chi capisca qualcosa di ricerca scientifica?

    Ehm, la *faccio* la ricerca scientifica, quindi almeno per un singolo data point tali idee sono convincenti.

    Comunque certo, se è questo che intendi invece, posso capire. Mi rendo conto di vari problemi e di varie resistenze, anche con ottimi motivi, verso l’ampliare gli approcci alla comunicazione. È anche una questione di forma mentis. Io credo debba esserci una modalità comunicazione per ogni stagione, se vogliamo. Lamento che ne manchino alcune, non voglio necessariamente sostituire queste a quelle attuali (anzi).

    Forse sono prevenuto perche’ vedo spesso colleghi che utilizzano l’outreach e la divulgazione per pubblicizzarsi, piu’ che per reale voglia di raccontare.

    E questo, anche se nella mia esperienza non mi viene in mente un caso del genere, sembra un grosso problema. Ottimo feedback e ti ringrazio. Puoi approfondire? Mi interessa.

  13. davide davide

    – Non ti ho accusato di voler scrivere sonetti, ho solo puntualizzato che gli articoli sono scritti in un certo modo per un motivo comprensibile, certo non per il sollazzo di appartenere a una loggia di tecnocrati. Tu lo sai, ma ho il dubbio che chi ci legge possa non capirlo.

    Si’, i papers sono incomprensibili in primis per la loro “densita’ concettuale”. In un articolo di fisica puoi trovare scritta la parola “energia”, un termine apparentemente semplice, di uso comune. Il profano non puo’ avere la minima idea di cosa voglia dire energia in fisica (lasciando perdere che possa voler dire cose diverse in contesti diversi), e non potra’ interpretare la parola che in modo scorretto, illudendosi di aver capito.

    Tu pensi di aver migliorato il tuo paper originario col pezzo postato. Ne sei sicuro? Io sinceramente non lo so. Secondo me i profani non hanno capito niente come prima, e hai imposto uno stile narrativo che non rende il pezzo piu’ “trasparente” a tutti. Sicuro che un lettore cinese sia piu’ contento? Un indiano? Un africano? Devi comunicare con persone di culture diverse, non e’ la noiosa, antinarrativa, asetticita’ la soluzione piu’ sicura al fine di assicurare comprensibilita’? Again, io non lo so.

    – Scusa ma non crederai davvero che tu sia l’unico che legga al di fuori del proprio campo o che sia una novita’ trovare soluzioni in altre discipline. Il punto sono le sfumature di cui parlavo. Molto difficilmente avro’ spunti interessanti leggendo di pittura.
    Sulla tua opinione sulla ricerca come tecnica invece di cultura non intervengo perche’ l’argomento e’ troppo complicato da trattare in un post. Sulla divulgazione, magari davanti a una birra.

  14. gli articoli sono scritti in un certo modo per un motivo comprensibile, certo non per il sollazzo di appartenere a una loggia di tecnocrati.

    Uh, qual è il motivo comprensibile di usare una serie di monotone locuzioni pesanti, per esempio, quando si potrebbero spiegare le stesse cose in modo più immediato e vitale? Perchè devo leggere frasi come ” These receptors eluded structural characterization for decades following their identification.” quando posso scrivere “For decades, we did not know their structures: every attempt failed.”? Cambia poco forse, ma sono le piccole questoni di stile che fanno la leggibilità.

    Il profano non puo’ avere la minima idea di cosa voglia dire energia in fisica (lasciando perdere che possa voler dire cose diverse in contesti diversi), e non potra’ interpretare la parola che in modo scorretto, illudendosi di aver capito.

    Stai dando per scontato che mi sto riferendo al profano: no. Mi sto riferendo 1)a ricercatori di altre discipline 2)a persone con una certa cultura e interesse, magari intellettuali in altre discipline, che, se non sanno esattamente che significa “energia” in quel contesto, magari possono tentare di informarsi. Sto proprio dicendo che esiste un pubblico terzo tra gli esperti e i profani. Ma ce le devi portare. Devi creare un canale comunicativo, che non sarà mai perfetto o perfettamente comprensibile, ma che permetta l’accesso a qualcosa che, altrimenti, è completamente autoreferenziale.

    Prendi l’articolo di Arthur Eddington sull’osservazione della deflessione relativistica della luce durante l’eclissi di sole: http://rsta.royalsocietypublishing.org/content/roypta/220/571-581/291.full.pdf – È infinitamente più leggibile di qualsiasi cosa oggi trovi su Physics Review Letters, temo. Non descrive aridamente la questione ma la narra – a un certo punto descrive brevemente perfino il clima della città dove hanno fatto l’osservazione come “hot but not unhealthy”! Anche senza leggere le tabelle numeriche uno ha immediatamente il senso di cosa stava succedendo in quel momento, di quale fosse la sfida posta, e ha la vivida narrazione di un esperimento cruciale per la storia della scienza. Questo è un articolo scientifico che un ricercatore di altri campi, un intellettuale o una persona colta e curiosa può leggere e, anche senza capire tutto, indurlo a cercare di capirne di più.

    Devi comunicare con persone di culture diverse, non e’ la noiosa, antinarrativa, asetticita’ la soluzione piu’ sicura al fine di assicurare comprensibilita’?

    Non esiste l’asetticità. La “noiosa antinarrativa ‘asetticità’ ” è una scelta stilistica e culturale ben precisa e non neutra, con un corredo di conseguenze culturali nascoste: ovvero, per esempio (ed è il mio cruccio qui) che si perda un aspetto estetico e umano nel modo in cui conduciamo e parliamo di scienza, aspetto a mio parere fondamentale per far ritrovare un posto centrale alla scienza nella conversazione culturale globale.

    ma non crederai davvero che tu sia l’unico che legga al di fuori del proprio campo o che sia una novita’ trovare soluzioni in altre discipline.

    Perchè mi metti in bocca cosa che non ho detto? Non ho mai detto di essere l’unico, credo.

    Molto difficilmente avro’ spunti interessanti leggendo di pittura.

    E chi te lo ha detto? Il modo in cui oggi i software di bioinformatica strutturale rappresentano la struttura delle proteine nascono dal modo in cui una ricercatrice, Jane Richardson, si mise a disegnare proteine con matita e acquarello.

  15. davide davide

    ” These receptors eluded structural characterization for decades following their identification.” quando posso scrivere “For decades, we did not know their structures: every attempt failed.”?

    – La prima frase contiene piu’ informazioni della seconda, ovvero questi recettori sono stati identificati ma la loro struttura non e’ stata caratterizzata per decadi. La seconda frase non si sa a cosa si riferisce (their, chi sono?) ed e’ ridondante, dato che se non sappiamo la loro struttura e’ evidente che ogni tentativo di caratterizzarla sia fallito, non c’e’ bisogno di ribadirlo. Inoltre, hai usato i due punti, una difficolta’ grammaticale in piu’ per chi non e’ madre lingua.
    Se volevi darmi ragione hai scelto un ottimo esempio!

    “Stai dando per scontato che mi sto riferendo al profano: no.”

    – Tu hai nominato i profani nel tuo articolo eh. Cito: “La voga attuale impone che l’articolo scientifico non sia un articolo, nel senso di esposizione leggibile in cui lo intende un profano”
    Ho spiegato (non a te, a chi ci legge), che il target degli articoli non sono i profani

    “a persone con una certa cultura e interesse, magari intellettuali in altre discipline, che, se non sanno esattamente che significa “energia” in quel contesto, magari possono tentare di informarsi.”

    Si possono informare, a seconda del background, leggendo divulgazione, dispense di corsi, Nature Perspective, etc a seconda del livello di competenza, non con i papers.

    “Prendi l’articolo di Arthur Eddington..”

    – Un pezzo di 44 pagine, comparato a un Phys. Rev. Lett.??? Certamente l’asetticita’ non e’ una scelta neutra, (non so neanche che voglia dire scelta neutra), e’ solo considerata la scelta che assicura maggiore comprensibilita’. Per te non e’ cosi’, come detto prima la tua opinione e’ legittima!

    “Perchè mi metti in bocca cosa che non ho detto?”

    – Mi scuso, ma sembrava che i ricercatori fossero dei monomaniaci che non staccano il naso dal loro tavolo. Dalla mia esperienza direi che e’ in generale falso, ma non voglio generalizzare.

    “E chi te lo ha detto?…”

    Adesso non inventare tu parole che non ho scritto. Ho detto “molto difficilmente”, non che e’ impossibile. Non conosco l’esempio che citi, ma mi sembra di capire si parli di un lavoro di una ricercatrice che ispira…il suo campo. Credo di aver detto un’ovvieta’ ma tu puoi avere idee diverse. Grazie per la discussione.

  16. ovvero questi recettori sono stati identificati ma la loro struttura non e’ stata caratterizzata per decadi. La seconda frase non si sa a cosa si riferisce (their, chi sono?) ed e’ ridondante, dato che se non sappiamo la loro struttura e’ evidente che ogni tentativo di caratterizzarla sia fallito, non c’e’ bisogno di ribadirlo.

    “Their” si riferisce ai recettori, nel contesto dell’abstract da cui ho preso la frase è ovvio. E non è ridondante: di molti recettori, semplicemente, nessuno si occupa di tentare una caratterizzazione strutturale.

    Inoltre, hai usato i due punti, una difficolta’ grammaticale in piu’ per chi non e’ madre lingua.

    I due punti sono una difficoltà grammaticale? Questo è ridicolo. Come se poi i due punti fossero banditi dall’attuale prosa scientifica. Cerchiamo di essere seri.

    Cito: “La voga attuale impone che l’articolo scientifico non sia un articolo, nel senso di esposizione leggibile in cui lo intende un profano”

    Non ho scritto “in cui lo deve leggere un profano”, ho scritto “in cui lo intende un profano” nel senso del significato dato al termine “articolo”.

    Si possono informare, a seconda del background, leggendo divulgazione, dispense di corsi, Nature Perspective, etc a seconda del livello di competenza, non con i papers.

    Che è quello che vorrei spezzare! Spezzare l’incantesimo per cui la letteratura scientifica è completamente inaccessibile a chiunque non sia già un esperto della disciplina. I livelli di divulgazione etc. sono necessari, ma un conto è se sono utili Baedeker, un altro se sono posti di fronte a cancelli invalicabili.

    Un pezzo di 44 pagine, comparato a un Phys. Rev. Lett.???

    Esatto. Appunto.

    ma mi sembra di capire si parli di un lavoro di una ricercatrice che ispira…il suo campo.

    Grazie alle sua preparazione pittorica, però. Lei ha ispirato il suo campo prendendo qualcosa a partire dall’arte. Aprire un goccio la mente forse permetterebbe di ispirare qualcosa anche a te.

  17. Poi, di nuovo, s’è capito che per te semplicemente tutto questo non è minimamente interessante, quindi amen, vorrà dire che sarai felice dello status quo. Mica dobbiamo per forza essere tutti d’accordo.

  18. davide davide

    – Devicerandom, la frase ridondante non per il their, ma perche’ scrivi “we did not know their structures: every attempt failed”
    Scrivi due volte la stessa cosa, tipo “ho mangiato una mela: ho mangiato una mela”.
    I due punti sono una difficolta’, perche’ per esempio in italiano e in inglese si usano in modo diverso. Visto che in un paper ci sono almeno un centinaio di frasi anche queste piccolezze lo appesantiscono.

    – Io sono intervenuto su cio’ che mi interessava. Non e’ facile cambiare idea su certe cose, ma sono stato aperto al confronto.

    – Grazie per il consiglio di aprire la mente, io non mi permetto di darne a te dato che non sono nessuno. Visto che ti piaceva il paper di Eddington, ti dico che oggi a Oxford e’ hot but not unhealthy, infatti c’e’ una bella giornata di sole, quindi mi vado a fare una passeggiata con mia moglie e poi finisco di scrivere un paper per Phys. Rev. Lett., ti prometto che cerchero’ di non mettere troppe locuzioni lugubri!

  19. Matki Matki

    Ho letto e riletto questo post perché rappresenta la messa in forma (forma assolutamente squisita, a mio parere), di ciò che penso e a cui sto pensando da un po’ di tempo. Così, per rinfrescare la “mia” idea e compiacermi del fatto che ciò che penso, allora, ha un senso, o più semplicemente per invidia, dato che qualcun’altro è riuscito ad informarla questa dannata idea, a volte ritorno qui e rileggo tutto. Davvero complimenti, nel caso in cui riuscissi a formare in altra materia questa nostra idea, ti renderò senz’altro partecipe. Enjoy,dear.

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